Aspetti sociologici e psicologici nello sviluppo della psicopatologia

Ricerca sociologica fatta in Spagna alcuni anni fa: hanno comparato i dati relativi agli adolescenti ed ai giovani che venivano da famiglie “normali” e da famiglie atipiche, dalle “nuove” famiglie. La conclusione molto semplice è che il rischio di psicopatologia nei figli non è differente.
Questo è un dato secondo me di grande rilievo: cambiano le famiglie ma la psicopatologia ha come una sua densità, una sua inerzia, continua ad esistere mentre le famiglie cambiano. Ma tra “modo” di organizzazione della vita famigliare e “rischio” di psicopatologia non c’è una particolare differenza.
Neanche mi sembra che si possa dire che i modelli educativi hanno una grande importanza dalle ricerche che abbiamo. Famiglie lassiste o famiglie molto severe non sembra che producano grandi differenze nel comportamento reale dei figli. Ora, se noi pensiamo a questo, io credo che dobbiamo riflettere subito dopo sul punto successivo: i modi in cui le persone si mettono insieme, si organizzano, si sposano, non si sposano, fanno figli, non ne fanno, è importante, ma è importante fino ad un certo punto.

Quello che sembra contare, per quello che possiamo capire, nella crescita di un bambino sano, è la qualità del rapporto che questi genitori hanno con lui. E’ la qualità, non la formalità del rapporto. Centralità della relazione fra le figure genitoriali ed il bambino che cresce.

L’idea della crisi dell’adolescenza.
E’ vero che Freud insiste sul fatto che l’adolescenza determina – per le modificazioni anche ormonali, fisiche, corporee – una serie di conseguenze. Questa bufera, però, oggi siamo portati a considerarla come più ampia di quella legata allo sviluppo della sessualità, perché guardiamo tante altre cose, cioè il tipo di rapporto che ormai l’adolescente stabilisce fuori della famiglia come prova fondamentale per lui della sua forza, della sua capacità di stare nel mondo e così via.
Questa crisi – Freud lo dice bene, anche se questa parte del discorso è meno sottolineata – si sviluppa in un modo o nell’altro a seconda di quelli che erano gli equilibri precedenti. Cioè, non è la crisi che determina il fenomeno, ma la crisi lo rivela.

I momenti cruciali della vita di un bambino o di un ragazzo non sono solo quelli dell’adolescenza, sono anche e soprattutto gli anni precedenti. Allora quello a cui ci troviamo di fronte nel momento dell’adolescenza è una grande crisi che è una messa alla prova di tutto ciò che è stato fatto dal bambino ed è anche, al tempo stesso, una difficile prova della maturità affettiva dei suoi genitori. Questo è un tema molto complesso: nella crisi dell’adolescenza ci si trova di fronte alla necessità di adattamenti, e gli adattamenti riescono se la persona è abbastanza forte per poterli affrontare. Ma la forza che determina gli esiti non è solo quella del ragazzo che cresce, bensì anche quella dei suoi genitori.

Quindi, l’adolescenza è sì una crisi del soggetto-adolescente, ma è anche il momento in cui la famiglia dimostra le risorse che può mettere in campo rispetto alla salute del figlio o della figlia. Allora la gravità di alcune reazioni non è legata direttamente all’adolescenza – perché quella ci doveva essere comunque -, la gravità è legata a ciò che era accaduto prima.

Kernberg, il quale parla di tre grandi compiti evolutivi. Il primo (quattro-otto mesi) è, molto schematicamente, quello della delineazione del sé dall’altro; il secondo, con un epicentro di drammaticità intorno ad un anno e mezzo di vita (intorno ai quindici-diciotto mesi) riguarda la scissione buono-cattivo, e quindi il tempo dell’integrazione delle immagini buone o cattive; poi (dai tre anni e mezzo ai quattro-cinque anni) la fase dell’Edipo e dell’identificazione di genere. A queste tre fasi corrispondono compiti evolutivi che, se non sufficientemente ben compiuti, presenteranno il loro conto nel momento dell’adolescenza. Se quello che non si è compiuto bene è il compito che riguardava l’individuazione del sé, il conto sarà drammatico, sarà quello delle crisi psicotiche aperte oppure di quei grandi sistemi scissi di cui parlava Sullivan, per cui una crosta di normalità nasconderà un deficit drammatico della capacità di relazione con l’oggetto. Se il compito non sufficientemente eseguito è quello dell’integrazione, avremo quei grandi sbalzi di comportamento dell’adolescente che danno luogo a delle difficoltà di livello borderline. Se il compito che non è stato adempiuto è quello invece dell’individuazione al tempo dell’Edipo, allora avremo piuttosto una patologia di tipo nevrotico.

Se rifletto da questo punto di vista, quello che mi dico oggi è che, nella situazione concreta degli adolescenti di oggi, in seguito ad un grande cambiamento culturale che c’è stato rispetto alla prima metà del novecento – e quindi al tempo in cui ha lavorato Freud, quando è nata la psicoanalisi più tradizionale – ci sono stati delle modificazioni importanti nelle modalità educative. Secondo questa mia prospettiva, oggi il bambino rischia di più – statisticamente intendo – riguardo al problema dell’integrazione, e rischia invece un po’ meno dal punto di vista della repressione sessuale e della identificazione di genere. Il risultato è che noi abbiamo molte più psicopatologie di livello borderline e molte meno psicopatologie di tipo schiettamente nevrotico nel senso più tradizionale del termine.

Circa una percentuale tra il trenta ed il quaranta per cento di questi ragazzi soddisfaceva i criteri del disturbo di personalità a tredici, a quindici, a diciotto anni, però con due sostanziali e imprevedibili annotazioni dei ricercatori. La prima è che non sono gli stessi ragazzi a tredici, a quindici, a diciotto. Molti dei tredicenni a cui si potrebbe far diagnosi di disturbo di personalità sono normali a quindici oppure a diciotto. Ci sono new entry a quindici e a diciotto, il dato finale è che la presenza di un disturbo a tredici o a quindici, non è predittivo per un disturbo di personalità a diciotto. Comprendete come questo sconvolge molte delle cose che pensiamo di queste situazioni, perchè ci mette di fronte alla fondamentale reversibilità di disturbi che invece nell’accezione comune sono considerati stabili.

Da un punto di vista più generale l’adolescente ci mette di fronte ad un punto che io considero molto rilevante e che ho posto al centro della riflessione di un mio lavoro sul tema: il fatto cioè che il funzionamento borderline non sia il risultato di una struttura di personalità ma che sia una modalità di funzionamento psichico a cui possiamo tutti regredire con maggiore o minore facilità. Insomma le modalità del funzionamento psichico del livello borderline sono quelle che con più chiarezza mettono in evidenza la plasticità del funzionamento della mente in rapporto a situazioni di difficoltà, che sono situazioni di difficoltà di vario tipo.
Per non stare sempre e ossessivamente stretti sull’angoscia dell’adolescente con gravi problemi, pensiamo per esempio a quello che accade alle persone che hanno un grande successo nella vita e che si trovano ad avere intorno una “corte” di persone che gli dicono sempre si. Nella storia dei grandi dittatori, da Francisco Franco a Mussolini, a Hitler, a Stalin, a Robespierre, questi sono sviluppi di personalità che vanno verso la gravità in rapporto al successo.
Ad esempio, quelli di noi che lavorano con i tossicodipendenti da cocaina, si trovano di fronte un grande numero di persone di successo che crollano con la cocaina quando hanno raggiunto già i trentacinque, i quaranta, avendo avuto fino ad allora una vita “normale”.
Allora le trappole della vita non sono soltanto le avversità, una trappola della vita può essere anche la disarmonia del successo e questo credo sia un punto sul quale dobbiamo riflettere molto anche come psicoterapeuti.
Nel libro di Gabbard sugli “scivolamenti” degli psicanalisti, il problema degli psicanalisti con gravi problemi narcisistici e dello sviluppo narcisistico verso livelli di grande gravità dopo i quarantacinque, i cinquanta anni – nel momento del successo, dopo che sono stati allievi perfetti – mette un campanello d’allarme interessante rispetto anche ad ognuno di noi. Insomma aver successo non è una grande fortuna se esso è eccessivo. Io credo che questo sia un punto su cui dobbiamo riflettere bene tutti.
Un’ultima riflessione che voglio fare è a proposito delle depressioni nell’adolescenza. Io anche qui sono portato ad essere molto cauto. Alla parola depressione io do un senso descrittivo, non diagnostico. Io credo che il fatto che un adolescente abbia momenti di depressione – meno male! – è assolutamente normale. L’adolescente vive per esagerazioni, integrare l’immagine di se stesso chiede dei momenti di depressione e dei momenti di esaltazione. La parola depressione dovrebbe, secondo me, uscire dal vocabolario diagnostico in adolescenza. Io credo che dovremmo riflettere molto bene. E credo che anche associare la parola depressione ai tentativi di suicidio è una cosa su cui dobbiamo riflettere molto bene.